lunedì 30 maggio 2016

L'acqua cecata per THE RECIPE-TIONIST



Questo mese THE RECIPE-TIONIST è stato da Antonietta, nel suo bellissimo blog c'era davvero l'imbarazzo della scelta.
Adoro le ricette d'altri tempi che sanno di passato e rispecchiano i valori e la cultura della cucina contadina, quel sapere antico basato sul recupero, il riuso, soprattutto del pane che è vita e non va mai sprecato.
Così ho voluto preparare l'acqua cecata di Marcianise, un piatto semplice e schietto che sa di buono, di casa, di radici.
Con questo post partecipo a THE RECIPE-TIONIST che per il mese di maggio è ospitato dal blog La trappola golosa.

600 g di pomodorini rossi e sodi
300 g di pane raffermo
1 cipolla rossa di tropea
1 spicchio di aglio
Basilico
Origano
Olio evo
Sale
Aceto bianco

Sistemare il pane tagliato a pezzi grossolanamente in una ciotola, bagnarlo con acqua, scolarlo.
Trasferire il pane in un'insalatiera, unire i pomodori tagliati in quattro, la cipolla a fette sottili, l’aglio, il sale, l’origano, il basilico spezzettato con le mani, l’olio e l’aceto.
Mescolare e guarnire con striscioline di basilico fresco.




http://www.cuocicucidici.com/

domenica 29 maggio 2016

Torta persiana dell'amore per Re-Cake 2.0


C'era una volta, tanto tempo fa, in un posto lontano lontano sperduto da qualche parte nella Persia, una ragazza dai lunghi capelli neri, raccolti in grosse trecce, perdutamente innamorata di un principe dai profondi occhi castani.
Ma il principe, per quanto ella facesse, non ricambiava il suo amore.
La ragazza lo amava, per lei il principe era divenuta un'ossessione, un pensiero costante che riempiva le sue giornate, tra giardini ricolmi di rose e padiglioni ombreggiati da sete variopinte, immerse in un miscuglio di ammiccanti aromi orientali.
Impazzire od averlo, le alternative erano poche.
La donna sublimo il suo amore in un dolce nel quale raccolse le spezie e gli aromi che riflettevano la sua passione e le rose, simbolo dell'amore, uniti agli ingredienti più pregiati.
Possiamo solo immaginare con quali amorevoli gesti e con quanta devozione preparò quel dolce.
Quindi lo offrì, intriso di un dolce aromatico sciroppo, ricoperto da petali di rose, rosse come il suo amore, cadute come tante lacrime.
Una torta fatta con amore che trasudava passione, una torta dell'amore…...
E poi? Il principe assaggio il dolce? Si accorse della ragazza? Vissero felici e contenti? … o altro?
Non è dato saperlo, qui si ferma la rete :-)
La risposta la può dare solo il dolce, assaggiandolo si può comprendere :-)

Con questo post partecipo a Re-Cake 2.0.
Questo mese ci sono riuscita!


Per la torta
250 ml di yogurt naturale
1 cucchiaino di lievito per dolci
6 uova
220 g di zucchero di canna
150 g di farina di mandorle
150 g semolino
6 bacche di cardamomo
60 g di pistacchi tritati
1 pizzico di zafferano
2 cucchiai di acqua di rose
100 ml di latte di mandorla
la buccia grattugiata di 1 limone

Per lo sciroppo
succo e scorza di 1 limone
125 ml di acqua
125 g di zucchero di canna
2 cucchiai di acqua di rose

Schiacciare i semi delle bacche di cardamomo, tritare i pistacchi, mettere da parte.
Versare il latte in una pentolina, aggiungere i pistilli di zafferano, scaldare a fiamma bassa.
Nella planetaria, velocità media, frusta K, sbattere le uova e lo zucchero fino ad ottenere un composto chiaro, denso e cremoso, unire lo yogurt, la farina di mandorle, il semolino e il lievito. Continuando ad impastare aromatizzare con il cardamomo, la scorza di limone e i pistacchi tritati ed, in ultimo, l’acqua di rose unita al composto di latte e zafferano, amalgamare bene.
Versare l'impasto in un stampo circolare di 24 cm di diametro, protetto da carta forno, o. ancora meglio, in uno stampo in silicone senza carta forno, livellare.
Cuocere in forno statico già a temperatura a 180° per almeno 45 minuti coprendo con carta alluminio se il dolce dovesse scurirsi troppo.
Nel frattempo preparare lo sciroppo.
In un pentolino unire all'acqua il succo e la scorza del limone, lo zucchero e l'acqua di rose, portare ad ebollizione e lasciare sobbollire per almeno 5 minuti.
Lo sciroppo deve leggermente addensarsi.
Una volta cotta sformare la torta e distribuire lo sciroppo sulla superficie con l'aiuto di un pennello.
Sformare.
Decorare con petali di rosa e pistacchi tritati.



http://re-cake.blogspot.it/2016/05/torta-persiana-dellamore-14.html

venerdì 27 maggio 2016

Crostata di ricotta e visciole



Le proibizioni aguzzano l'ingegno, generano invenzioni è scoperte … questo è forse il caso della crostata di visciole che pare sia stata creata proprio per eludere un divieto.
Nel 1775 la condizione, già dura, degli ebrei romani fu inasprita dall'“Editto sopra gli Ebrei” che, tra l'altro, faceva divieto agli ebrei di vendere pane latticini e carne ai cristiani.
La norma, formalmente motivata dal timore del diffondersi delle abitudini alimentari ebraiche tra i cristiani, nascondeva in realtà un intento protezionistico. Al tempo la vendita di pane, carne e latticini ai non ebrei era particolarmente fiorente, tali alimenti, proprio perché prodotti nel rispetto di precise, rigide, regole di preparazione, raccolta e selezione delle materie prime, erano ritenuti più sani, più puliti e più buoni, in definitiva migliori di quelli che offriva il mercato non kasher e, quindi, erano molto richiesti.
Allora cosa fare per eludere il divieto? Si penso di nascondere la pregiata ricotta tra due strati di pasta, in una crostata, in modo da poter superare i controlli delle guardie papali … almeno questa è la leggenda.
La crostata, rustica e bruciacchiata, col suo morbido, candido, ripieno è ancora prodotta nel rispetto delle regole kasher nei forni del ghetto, e in uno in particolare, la ricetta però è rimasta segreta.
Quale sia l'alchimia che nasconde il famoso forno in via Portico d'Ottavia, non è dato saperlo, di certo la sua crostata di ricotta e visciole è unica e inimitabile, possiamo provare a riprodurre i sapori …. ma l'originale è un'altra cosa.
Nella pagina dedicata al calendario l'articolo della nostra ambasciatrice Tamara Giorgetti con ancora molto altro sulla crostata di visciole e la sua storia e, sicuramente, una bellissima ricetta.

per la frolla
400 g di farina
200 g di zucchero
200 g di burro
4 uova, solo i tuorli
scorza di limone
sale

Per il ripieno
400 g di ricotta romana di pecora
140 g di zucchero
2 uova
2 cucchiai di sambuca, a piacere
1 barattolo di confettura di visciole, circa 350 g.

per completare
zucchero a velo

Sistemare la ricotta in un colino, lasciarla in frigo a scolare anche per tutta la notte.
Nel kenwood, frusta K, velocità 1 – 2, amalgamare velocemente il burro (freddo) a pezzetti con la farina fino ad ottenere uno sfarinato, unire lo zucchero, l'uovo, i tuorli e il sale, azionare ancora la planetaria a velocità 1 – 2 per pochi secondi giusto il tempo di compattare tutto. Si otterrà un impasto compatto ma ancora bricioloso. Avvolgere la pasta frolla in una pellicola di plastica e lasciare riposare in frigo per almeno 4 ore, meglio una notte intera, finché non sarà rassodata.
Sistemare la ricotta in una ciotola, lavorarla, con l'aiuto di una spatola da pasticceria, con lo zucchero, accuratamente. Aggiungere il liquore, la cannella, la scorza di limone, solo alla fine le uova.
Con l'aiuto di un mattarello stendere i due terzi della pasta sul piano di lavoro leggermente infarinato portandola allo spessore di 3 – 4 mm. Rivestire il fondo e i bordi di una tortiera di circa 26 cm di diametro imburrata ed infarinata. Sul fondo sistemare la confettura in un solo strato quindi versarvi sopra la crema di ricotta.
Stendere la pasta rimasta, ricavare con l'aiuto di una rotella dentellata delle striscioline con cui rivestire la crostata formando il classico motivo a grata.
Cuocere in forno statico, già a temperatura a 170°C per circa 1 ora.
Sfornare, lasciare raffreddare, attendere che sia ben fredda prima di tagliarla.
Servire la crostata con una spolverata di zucchero a velo
La ricetta è dello Chef kasher Laura Ravaioli ed è possibile consultarla qui.


Per il post mi sono documentata qui:
 
 http://www.aifb.it/calendario-del-cibo/

martedì 24 maggio 2016

Penne all'arrabbiata


Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
d
ei primi fanti il ventiquattro maggio;
l’Esercito marciava per raggiunger la frontiera
per far contro il nemico una barriera ...
Muti passaron quella notte i fanti;
tacere bisognava e andare avanti.
S
’udiva intanto dalle amate sponde,
s
ommesso e lieve il tripudiar dell’onde.
Era un passaggio dolce e lusinghiero.
Il Piave mormorò: Non passa lo straniero

Questi i versi dell'eclettico poeta, musicista e compositore autodidatta, postale, napoletano, Giovanni Gaeta, più noto come E. A. Mario, scritti di getto dopo la battaglia del solstizio che, giunta ai combattenti tramite tradotta postale servirono, a detta del Generale Armando Diaz a dare coraggio ai soldati ed aiutare lo sforzo bellico “più di un generale”.
La canzone colse l'anima di una nazione colpita dalla disfatta di Caporetto e, ora, l'orgogliosa per la riscossa, radicandosi così profondamente da essere poi, in tempi luoghi e condizioni completamente diverse, adottata provvisoriamente come inno nazionale italiano durante il periodo costituzionale transitorio.
Il 24 maggio di 101 anni fa l'Italia entrava in guerra, il Calendario vuole ricordare questa data, alla sua maniera, celebrando le penne, quelle nere, gli alpini, che tanto si distinsero nella grande guerra proprio sul fronte nord–est, simbolicamente, attraverso quelle gialle, quelle che si cucinano che rappresentano in tutto il mondo un simbolo dell'Italia.
In effetti questa tipologia di pasta deriva il proprio nome dal caratteristico taglio obliquo a pennino che era proprio proprio delle penne quando si usavano per scrivere … stiamo proprio risalendo la storia :-)
E come le prepariamo queste penne, patriotticamente con i colori della bandiera! Verde del prezzemolo, bianco del formaggio e rosso del pomodoro.
All'arrabbiata, perché sono anche le sconfitte a motivare le vittorie :-)
Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale delle Penne (Il Piave mormorava) del Calendario del Cibo Italiano AIFB. Nell'articolo della nostra ambasciatrice Ilaria Talimani, un sicuramente bellissimo e interessante approfondimento e buonissime ricette.

350 g di penne
600 g di pomodori pelati
2 spicchi d'aglio
3 cucchiai di olio extravergine di oliva
4 cucchiai di Pecorino
1 peperoncino
prezzemolo
sale e pepe

Sbollentare, pelare, privare dai semi e tagliare a cubetti i pomodori.
Rosolare l'aglio tritato e il peperoncino nell'olio, aggiungere i pomodori e cuocere per cinque minuti.
Cuocere le penne in abbondante bollente acqua salata, scolare al dente, condire con la salsa, cospargendo con pecorino e prezzemolo tritato.


La ricetta è presa qui

Per il post mi sono documentata qui:

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lunedì 23 maggio 2016

Talli e patate per il Calendario del Cibo Italiano



Mettiamoci comodi, gustiamoci una prelibatezza povera povera, oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra la minestra di tenerumi.
Ormai è stagione di zucchette e zucchine e i tenerumi sono abbondanti, si rinnovano ogni giorno!
I tenerumi sono le foglie, i germogli, comprese le inflorescenze aperte e non ancora aperte delle zucchette e delle zucchine.
Con questi ingredienti si preparano minestre delicate e saporite ed inoltre estremamente digeribili e salutari.
Piatti semplici, legati alla cultura contadina del recupero, che porta a consumare in casa tutto quello che resta dopo la vendita del prodotto.
Come spesso accade nella cucina povera la verdura, raccolta nei campi secondo la stagionalità e la disponibilità, è abbinata a carboidrati per realizzare un pasto completo e saziante in Sicilia nei tenerumi va la pasta, in Campania le patate.
Edibile e commercializzabile non sempre sono sinonimi, infatti mentre le zucchine e le zucchette sono conosciutissime e vendute comunemente, i tenerumi sono un prodotto di nicchia che si deve conoscere anche solo per riconoscerlo al mercato :-)
Eppure queste le foglie, i fiori e germogli, adeguatamente cucinati, sono di gran lunga più buoni delle zucchine in sé anche se hanno un mercato limitatissimo.
Qui in Campania i tenerumi sono propriamente quelli di zucchina e si chiamano talli.


 Con i talli e le patate si prepara una delicata zuppa estiva, semplice e gustosissima, un comfort food d'altri tempi che è assolutamente il caso di assaggiare, almeno una volta :-) Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale della Minestra di Tenerumi del Calendario del Cibo Italiano AIFB. Nella pagina dedicata al Calendario l'articolo della nostra ambasciatrice Flavia Galasso, sicuramente bellissimo e interessante e buonissime ricette.

 

500 g. di talli
2 patate medie
1 aglio intero
olio extravergine di oliva
sale
4 cucchiai di parmigiano e pecorino grattugiati (se piace qualcuno in più)

Pulire i talli,  la procedura richiede un po' di tempo e attenzione per la nettatura delle foglie e dei fiori di zucchina da cui vanno eliminati gli aculei con un sistema semplice ma un po' lunghetto, ne vale la pena però :-) .
Lavare i talli accuratamente. Pelare le patate e tagliarle a tocchetti.
In una capiente pentola soffriggere l'aglio in qualche giro di olio, unire i talli, lasciarli stufare (qui si dice affogare) a fuoco moderato, coperto. Unire le patate, farle insaporire per un minuto quindi aggiugere tanta acqua bollente quanto basta a coprire a filo le verdure, salare. Cuocere coperto a fuoco moderato per circa un'ora. Al termine aggiungere il formaggio grattugiato, mescolare, spegnere il fuoco altrimenti il formaggio si addensa troppo.
La zuppa deve restringersi, risultare corposa, umida ma non troppo brodosa.
Buon appetito!!!



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giovedì 19 maggio 2016

Il lattemiele alle fragole


Strawberry fields forever, cantavano i Beatles … c'è qualcosa di incantato in un campo di fragole, terapeutico e rasserenante :-)
Miti, leggende, magie sono fioriti nei secoli intorno a questo frutto che non è un frutto.
Infatti la fragola propriamente è un “falso frutto” o “frutto aggregato”, un morbido cuscino rosso e succulento (il ricettacolo ingrossato del fiore) su cui sono sistemati i i frutti veri e propri, dei piccoli puntini gialli, gli acheni.
Conosciuta fin dall'antichità come una prelibatezza tant'è che la sua stessa denominazione scientifica, fragraria, deriva dal latino fragrans, fragrante, profumato, buono.
Per i romani le fragole sarebbero nate dalle lacrime di Venere alla morte Adone, lacrime rosse come l'amore che, cadute a terra, si sarebbero trasformate in tanti piccoli cuori dolci e profumati.
Nei secoli le fragole sono state associate a valori positivi, bellezza, candore, semplicità.
La fragola, che cresce sotto l´ortica, rappresenta l´eccezione più bella alla regola, poiché innocenza e fragranza sono i suoi nomi. Essa è cibo da fate” (W. Shakespeare)
Dolce in sé, rossa e profumata, golosa come il più bello dei pasticcini, la fragola è anche estremamente salutare, ricca di vitamina C, potassio, acido folico e xilitolo, è ”un bene di Dio” (C. Linneo) dalle notevoli proprietà depurative, diuretiche e antireumatiche..
Insomma a mangiare fragole non si sbaglia!
Ed oggi ne vedremo delle belle, è la Giornata Nazionale delle Fragole del Calendario del Cibo Italiano AIFB!
Nell'articolo della nostra ambasciatrice Stefania Pignoni che troviamo qui tanto altro ancora sulle fragole, e sicuramente, meravigliose ricette che ora corro a leggere :-)

Per questa giornata ho preparato il lattemiele alle fragole di Petronilla che vi propongo con le sue parole, non ve ne sono di migliori!

Quanto è bello prendere il tè con le amiche (specie se di sopraffina qualità sono i biscotti nei piattini): e chiacchierar così, insieme, sul più e sul meno ….sulle mode … sull'eccessivo studiare al quale la scuola costringe i poveri figlioli …. sulla negra ballerina che in visibilio ha mandato persino i nostri mariti … sulle donne di servizio ….. sul modo personale di imbandire un piatto prelibato!
Di cucinaria appunto si parlava ieri al tè che ogni giovedì offre la alle amiche la bionda “generala; di cucinaria relativa alla stagione …. e parlando di verdure, il discorso è caduto sugli asparagi; parlando di frutta, sulle fragole.
Disse l’una: “Le fragole io le preferisco genuine e con solo zucchero condite!”.
Disse l’altra: “Noi preferiamo con il vino bianco!”-“Noi invece con quello nero,
ma di bottiglia vecchia!”.
Io (così una zitella gialla e allampanata) io le fragole le mangio solo condite con zucchero e succo dell'arancio o del limone!”
Io (ho concluso, e quando parlo io tutte stanno a sentirmi, che ben sanno quando io me ne intenda di piatti sopraffini!) io soglio ogni anno preparare il lattemiele di fragole! Anche loro lo vorrebbero signore? Non sono gelosa io delle ricette che combino nella mia cucina; e ... se vogliono le accontento!”

Si deve comperare mezzo chilo di fragole; lavarle (come sempre si deve fare) in un po’ di vino bianco; e lasciarle poi bene scolare sopra uno straccio.
Una trentina, tra le più belle e grosse si mettono in una tazza e si coprono con un po’ di quel tal liquore che, in ogni casa, si tiene sempre alla mano.
Tutte l’altre si schiacciano invece su di uno staccio raccogliendone di mano in mano in una larga insalatiera il passato; a questo, si aggiungono due cucchiai di zucchero e un quarto di panna; indi (in ambiente freddo o circondato di ghiaccio l’insalatiera) si monta ben bene il tutto, per farlo diventare uno spumoso
lattemiele. Si aggiungono, infine, due cucchiai di quel tal liquore e si mette il profumato piatto al freddo perché geli.
Al momento di servirlo, si versa, a cucchiaiate, il soffice e rosato lattemiele su di un piatto, in modo da formare con esso una piramide appuntita e, secondo i vari gusti, lo si guarnisce con quelle tali fragole serbate nel liquore.
“Ora, che è la stagione adatta, provino, signore, e mi sapranno poi dire…”.
Ebbene, credereste? Tutte quelle dame mi hanno in coro così telefonato:
Signora Petronilla che squisito quel lattemiele!”.
Che figurona ho fatto, quando in famiglia lo hanno assaggiato!”.

La ricetta riesce e anche bene, con l'unica accortenza di lavorare, come dice Petronilla, in ambiente freddo quindi purea fredda, panna fredda, ciotola della planetaria e frusta fredde e montare benissimo.
Il peso delle fragole non è indicato nel mio lattemiele ho messo 200 g. di purea e 250 g. di panna.



La ricetta è presa qui

Per il post mi sono documentata qui:

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lunedì 16 maggio 2016

Vitel tonè



È carne e sa di tonno, strana combinazione tra terra e mare, pensare che all'inizio di tonnato, c'era solo il nome e anzi questo piatto “mare e monti”, probabilmente, è nato da Cuneo!
I percorsi del gusto sono spesso strani e tortuosi!
Di certo si sa, dai ricettari dell'800, che nell'alta pianura padana, in particolare tra Torino e Milano, si era diffusa una modalità di preparazione del vitello, ad uso di tonno, un tecnica che che rendeva le carni, soprattutto dei tagli meno nobili, tenere e delicate e, proprio per questo, particolarmente adatte agli stomaci deboli.
Pare che l'origine della ricetta fosse piemontese, probabilmente cuneese. A Cuneo già del medioevo era radicato il mestiere di acciugaio, che spesso serviva per mascherare il contrabbando di sale. Le valli cuneesi rappresentavano un importante snodo delle vie del sale, sentieri e mulattiere che collegavano la montagna al mare e permettevano l'approvvigionamento del vitale elemento. Da tempo immemorabile contadini e montanari seguivano questi percorsi che portavano al mare e tornavano con tanto sale coperto, per evitare i controlli dei doganieri, da uno strato di acciughe tanto che il commercio di acciughe divenne connaturato al contrabbando di sale.
Così le acciughe, diffusissime e a buon mercato, furono usate in molte preparazioni piemontesi tra cui questo piatto di carne.
Nelle ricette più risalenti, il vitello tonnato è realizzato con le acciughe, di tonno neppure l'ombra, anzi pare che l'espressione tonnè derivasse, con un francesismo piuttosto frequente nell'allora Ducato di Savoia, da tannè che in francese significa conciato.
si può pensare che tonnato volesse in un primo tempo significare cucinato come fosse tonno e che la ventresca sottolio sia stata aggiunta in un secondo tempo, probabilmente attratta dal nome del piatto” (G. Ballarini)
Sicuramente il tonno, insieme alle acciughe è presente nella ricetta contenuta ne “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi, che rappresenta nonostante il passare del tempo, dei gusti e delle mode uno dei pilastri della cucina italiana.
Di maionese ancora nessuna traccia fino agli inizi del '900 …. poi si sa sono arrivati i rampanti anni '80, gli yuppies, e questo piatto montanaro, complice forse di nuovo il francesismo, questa volta erroneo, fu uno dei simboli di un'epoca …. ora è divenuto un po' retrò e ci piace di più :-)
Con questo post partecipo alla Giornata Nazionale del Vitel Tonnè del Calendario del Cibo Italiano AIFB, nella pagina dedicata al calendario l'articolo della nostra ambasciatrice Antonella Eberlin sicuramente bello e interessante e tante squisite ricette.


1 kg. di girello di vitello
100 g. di tonno sott'olio
4 acciughe
una bella costa di sedano
due carote
olio q. b.
limone q. b.
¼ di cipolla
qualche ciuffo di prezzemolo
2 chiodi di garofano
1 foglia di alloro
Steccare il girello (legato e preparato dal macellaio) con due acciughe tagliate e ridotte in otto pezzi.
In una capiente pentola sistemare il sedano e le carote, precedentemente lavate e mondate, la cipolla steccata con i chiodi di garofano, l'alloro e il prezzemolo in abbondante acqua. Portare a bollore, salare, unire la carne facendo attenzione a che la carne sia coperta dall'acqua. Cuocere per un'ora e mezza, quindi prelevare la carne, eliminare lo spago, asciugarla, lasciarla raffreddare.
Nel frattempo preparare la salsa, Artusi usava il setaccio, noi un bel mixer ad immersione, con il tonno, due acciughe, olio e succo di tanto limone quanto basta per ottenere una salsa liquida, alla salsa finita unire un pugno di capperi.
Quando la carne sarà fredda tagliarla a fette sottili ricoprirla con la salsa e lasciarla ad insaporirsi uno o due giorni in frigo.
La ricetta è di Pellegrino Artusi


Per il post mi sono documentata qui:

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mercoledì 11 maggio 2016

Festeggiamo Petronilla!




Buongiorno, oggi si festeggia Petronilla, è il compleanno a Amalia, una di noi, anzi la nostra maestra!


Con questa giornata il Calendario ha voluto celebrare insieme con Petronilla, Amalia e un po' anche tutti noi food blogger, non un professoroni che parlano dall’alto di una cattedra cucinaria, ma persone che amano cucinare e mangiare e, per passione, sperimentano, si inventano, si industriano, condividono, cercando di comunicare, con parole e immagini.
Amalia è stata la prima grande comunicatrice di food “una blogger senza rete”, come è stata definita, una donna da cui, ancora oggi, noi tutti abbiamo tanto da imparare, per le ricette e per le capacità comunicative!
Io sono onoratissima di essere ambasciatrice di questa giornata così importante, celebrare, proprio io,  l'antesignana dei  comunicatori di food e tutti i food blogger, il mio cuore si rallegra!


Ma chi era quest'Amalia che stiamo festeggiando, una donna, moglie, madre, professionista, in tempi in cui per una donna era difficile esserlo, terza donna medico in Italia e prima specializzata in pediatria e …. una «qualunque donnetta» che dalla modestissima tavola della sua borghesissima cucina dice quali piatti ella riserbi per le sue colazioni e i suoi pranzetti.
Proprio come noi!
Ne abbiamo da festeggiare oggi, non è vero?
Dobbiamo imparare qualcosa di più sulla nostra amichetta Petronilla, leggere qualcuno dei suoi scritti che lasciano il segno, rinnovare il suo ricordo e la sua presenza nelle nostre cucine preparando qualche sua ricettina per ammanire una colazioncina od un pranzettino.
Teniamola sempre con noi, sono le nostre radici, ci appartengono.
Buon compleanno Amalia, buon compleanno Petronilla :-)




Ora bisogna lasciarle un commento, è il suo compleanno! ma non qui, gli auguri andiamo a farli sul sito dell'Associazione Nazionale Food Blogger, nella pagina dedicata al Calendario del Cibo Italiano, dove potremo leggere molte più cose su Amalia/Petronilla e su noi e troveremo tante ricette tutte sperimentate e affidabili.
Provate!
Ringrazio le amiche che hanno voluto contribuire a questa giornata preparando una ricettina per la nostra amichetta Petronilla sul loro blog e tutte quelle che passeranno a trovarci :-)
Col budino di lattemiele farete un figurone, la ricetta, però bisogna leggerla qui :-)


Per il post mi sono documentata qui:
Le “Perline” di Petronilla, liquori , bibite, sciroppi, coppe e tazzine, Sonzogno, 1975
Le “Perline” di Petronilla,marmellate, confetture,budini dolci, gelatine, Sonzogno, 1975
Roberta Schira – Alessandra De Vizzi, Le voci di Petronilla, Salani Editore, 2010
Miriam Mafai, Pane nero, Ediesse, 2008
Renzo Dall’Ara, Petronilla e le altre, edizioni Tre Lune, 1999


La definizione blogger senza rete è presa qui



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domenica 8 maggio 2016

Quanti modi di fare e rifare i passatelli in brodo emiliani



Buona domenica, buona festa della mamma, un giorno speciale merita un piatto speciale, siamo tutte qui, a pranzo da Susanna, prepareremo i suoi passatelli in brodo, una prelibatezza unica!
I passatelli sono un piatto semplice e casalingo, di recupero, pochi ingredienti di ottima qualità ne assicurano la bontà …. e, ovviamente, fa tanto la ricetta :-)
Questa di Susanna è speciale, buonissima e perfetta, straprovata, è la ricetta della sua nonna, le ricette delle nonne sono sempre una garanzia :-)
Nel rifare i passatelli, non ho modificato di un filo la ricetta, se non per i brodo, in casa mia il brodo è sempre di carne, quello di pollo lo utilizziamo solo per le minestre a Pasqua e Natale, così i miei passatelli sono intrisi da un campano buon brodo di carne :-)
Che squisitezza! una volta assaggiati non si dimenticano e non si lasciano!
Grazie alla Cuochina per averci fatto conoscere questa meravigliosa ricetta che, resterà a lungo nelle nostre cucine, e a Susanna per aver condiviso un tesoro di famiglia.
E, ancora una volta …. quante cose impariamo con la Cuochina!


per i passatelli:
200 g. di parmigiano reggiano stagionato 36 mesi
200 g. di pane raffermo di due o tre giorni senza crosta
4 uova
noce moscata q.b.

per il brodo:
500 g. di biancocostato di manzo
2 carote
1 costa di sedano
1 cipolla
sale
2, 5 litri di acqua


Mondare e lavare sedano e carote, pelare la cipolla.
Sistemare in una capiente pentola la carne, le carote e il sedano, unire l'acqua fredda. Portare a bollore a fuoco medio, raggiunto il bollore proseguire a fuoco al minimo continuando la cottura per almeno 2 ore. Poco prima di allontanare la pentola dal fuoco salare il brodo.
Al termine prelevare la carne e le verdure che a casa mia abbiamo l'abitudine di servire a parte, condite con olio e limone o rosolate in padella con un filo d'olio.
Filtrare il brodo con un colino ricoperto da garze sterili, tenere a parte.
Grattugiare molto finemente il parmigiano reggiano e il pane raffermo, passarli al setaccio, versarli in una ciotola e mescolarli.
In una terrina sbattere le uova con una bella grattugiata di noce moscata.
Versare le uova sul composto di pangrattato e parmigiano, mescolare inizialmente con la forchetta, poi impastare brevemente con le mani per compattare il composto, se dovesse risultare troppo umido aggiungere un pò di pane.
Coprire con un canovaccio e lasciar riposare per un'ora.
Al termine riportare in ebollizione il brodo, abbassare la fiamma al minimo, prelevare delle porzioni di impasto e schiacciarle con uno schiacciapatate a fori larghi, facendo cadere i passatelli direttamente nel brodo in leggera ebollizione.
Attenzione a che il brodo non bolla troppo altrimenti i passatelli possono rompersi e rovinarsi.
Cuocere per due minuti, quindi spegnere e lasciare riposare i passatelli per 5 minuti, coperti, nella pentola.
Servire con una bella spolverata di parmigiano grattugiato.



LA NOSTRA CUOCHINA

Il prossimo mese siamo da Silvia impareremo a cucinare pane e panelle, non vedo l'ora!